Il censimento sulle colonnine elettriche di ricarica in Italia
Al censimento più recente di Motus-E, datato 31 marzo, l'Italia contava 22.107 colonnine pubbliche distribuite in 15.262 diverse località, per un totale di 41.173 punti di ricarica. Questi punti servivano a supportare 193.619 veicoli elettrici in circolazione. Il tasso di crescita è incoraggiante: a dicembre 2022, c'erano 4.401 punti di ricarica in meno, e si è registrato un aumento del 47,3% rispetto a marzo 2022. Tuttavia, ci sono alcune difficoltà da affrontare. In primo luogo, il 23% delle colonnine installate non è attivo perché non sono collegate alla rete elettrica o non hanno le necessarie autorizzazioni, rendendole totalmente inutilizzabili. Il secondo problema riguarda l'11% dei punti di ricarica, che sono di tipo lento (fino a 7 kW), mentre solo il 3% supera i 150 kW e consente la ricarica rapida. Un'altra sfida è la scarsità di punti di ricarica pubblici lungo le autostrade, con solo 559 su un totale di 7.318 km di rete, ossia appena 7,6 punti ogni 100 km. Un'azienda chiamata Free to X ha installato 81 stazioni ad alta potenza sulla rete Autostrade per l'Italia e si propone di raggiungere quota 100 entro l'estate, mentre altre concessionarie sono meno impegnate in questa direzione.
Quante colonnine pubbliche avrebbe bisogno l'Italia?
Ponendo che si raggiunga l'obiettivo di 4 milioni di veicoli elettrici in circolazione entro il 2030, come stabilito dal governo (a cui si aggiungerebbero due milioni di ibride plug-in), si stima che siano necessarie almeno 110.000 infrastrutture, pari a oltre 220.000 punti di ricarica. A questi si dovrebbero aggiungere almeno 2,5 milioni di punti di ricarica privati, da installare nelle abitazioni. Perché la rete non si sviluppa più velocemente? I soliti problemi italiani: lentezza nelle autorizzazioni, burocrazia, frammentazione delle competenze e delle realtà coinvolte (chi installa le colonnine, chi fornisce l'energia, ecc.), e complessità normativa. Ci sono molte differenze locali: alcune situazioni sono più semplici e altre più complesse, gli uffici possono essere più o meno efficienti e le amministrazioni locali più o meno sensibili. Queste diversità sono evidenti. Prendiamo ad esempio il percorso della Mille Miglia: in Lombardia ci sono 6.661 punti di ricarica, in Emilia-Romagna 3.732, nelle Marche 1.151, nel Lazio 4.032, in Toscana 2.940 e in Piemonte 4.215. Ma se la gara non si fermasse a Roma e si spingesse più a Sud e nelle isole, troverebbe soltanto il 20% del totale delle colonnine installate. Appena 181 in Molise, 257 in Basilicata e 689 in Calabria. In sostanza, il 58% delle infrastrutture è concentrato al Nord.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
La questione italiana non riguarda la mancanza di risorse: il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) mette a disposizione 713 milioni di euro di finanziamenti europei per installare 21.255 nuove colonnine entro il 2025, di cui 13.755 nelle aree urbane (con almeno 90 kW di potenza) e 7.500 lungo le strade extraurbane (con almeno 175 kW). Tuttavia, solo ora è stato pubblicato il primo bando per assegnare i finanziamenti, e gli operatori hanno solo 28 giorni per presentare i progetti: una missione quasi impossibile! Alla fine del 2023, verrà lanciato un secondo bando per i finanziamenti del Pnrr, seguito da un terzo nella seconda metà del 2024. Il governo dovrà emanare un decreto per rimuovere alcuni ostacoli del primo bando (tempi ristretti, obblighi stringenti di distribuzione sul territorio) al fine di semplificare la realizzazione. Altrimenti, rischiamo di perdere una considerevole somma di finanziamenti europei. Cosa potrebbe accadere se non ci attiviamo tempestivamente? Nel primo trimestre del 2023, la quota di immatricolazioni di veicoli elettrici nei principali Paesi europei ha raggiunto tra il 13% e il 19,6% del mercato, mentre in Italia è stata del 3,1%. Ciò significa che sempre più turisti francesi, tedeschi, inglesi e olandesi arriveranno nel nostro paese con le loro auto elettriche e non troveranno abbastanza colonnine per ricaricarle. Questo si traduce in una perdita di attrattiva e competitività internazionale.